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138 TRAGEDIA NON FINITA
S’avvivava, commosso a’ suoi sospiri

Secretamente amò tutto quel tempo,
Che peregrino andò; e del suo core
Fummo sol secretarj Amore, ed io.
Ma poichè richiamato al patrio Regno
Nel gran soglio degli avi egli s’assise,
E ch’alle nozze l’animo rivolse,
Tentò con destri ed opportuni mezzi
Se indur potea d’Alvida il vecchio padre
Che la figliuola sua li desse in moglie.
Ma indurato il trovò d’alma, e di core;
Perocchè il vecchio Re, crudo d’ingegno,
Di natura implacabile, e tenace
D’ogni proposto, e di vendetta ingordo,
Ricusò di voler pace co’ Goti,
Non ch’amicizia, o parentado alcuno:
Da cui sì spesso depredato, ed arso
Vide il suo regno, violati i tempj,
Profanati gli altari, e dalle cune
Tratti i teneri figli, e da’ sepolcri
Le ceneri degli avi, e sparse al vento;
Da cui, non ch’altro, un suo figliuol sul fiore
Fu dell’età miseramente estinto.
Poichè sprezzar, ed aborrir si vide
Il buon Torindo, ancorchè giusto sdegno
Concetto avesse contra il fiero veglio,
Che fatto avea di lui aspro rifiuto;
Non però per repulsa, ovver per l’ira,
Che l’ardea contra il padre, ei scemò dramma
Di quell’amor, onde la figlia in moglie
Così cupidamente aver bramava.
E ben è ver, che negli umani ingegni,
E più ne’ più magnanimi, ed alteri,
Per le difficoltà cresce il desio:
E ch’a quel, ch’è negato, uom s’affatica
Con isforzo maggior di pervenire;
Perocchè la repulsa, e ’l nuovo sdegno
Al vecchio amor del Principe de’ Goti
Fur quasi sferza, e sproni, e confermaro
L’ostinato voler nell’alta mente.
Dunque ei fermato di voler, mal grado
Del padre, aver la figlia: e di volere
Viver con lei, e di morir per lei: