Pagina:Tasso, Torquato - Il Re Torrismondo, Pisa, 1821.djvu/162

Da Wikisource.
158 TRAGEDIA NON FINITA
Di ciò non cerco io già stranieri esempj,

Ch’abbondo de’ domestici, e li prendo
Da te medesma: e tu stessa ragioni
Contra le tue ragioni a me ministri.
Ma sel marito muor, sente la moglie
Tutto ciò, che di grave è nella morte.
E seco muore, e in un medesmo tempo
Vive, e sostenta della vita i pesi,
. 1 . . . . onde conchiudo,
Che sia nojoso ’l maritale stato,
In cui l’essere sterile, o feconda,
L’essere amata, od odiosa, apporta
Solleciti pensier, fastidj, e pene
Quasi egualmente. Io non però le nozze
Schivo, per ischivar gli affanni umani,
Ma più nobil desio, più santo zelo
Me della vita verginale invoglia.
E somigliar vorrei, sciolta vivendo,
Libera cerva in solitaria chiostra,
Non bue disgiunto in mal arato campo.
Filena Non è stato mortal così tranquillo,
Qual ei si sia, del quale accorta lingua
Molte miserie annoverar non possa.
Però, lasciando il paragon da parte
Delle due varietadi, io sol dirotti,
Che a te stessa tu sol non ci nascesti:
A me, che ti produssi, ed al fratello,
Ch’uscì del ventre stesso, a questa egregia
Cittade ancor nascesti. Or, perchè dunque
In guisa vuoi di scompagnevol fera
Viver sola, e selvaggia, a te medesma?
Chiede l’utilità forse del Regno,
E del caro fratel, che ti mariti.
Dunque al pro della patria, e del germano
Fia il tuo piacer preposto? Ah non ti stringe
La materna pietà? non vedi ch’io
Del mortal corso omai tocco la meta?
Perchè m’invidj quel piacer compito,
Ch’avrò, s’io veggio, anzi ch’a morte giunga,
Rinascer la mia vita, e rinnovarsi
Nell’immagine mia, ne’ miei nipoti,

  1. Così in tutte l’edizioni.