Pagina:Tassoni, Alessandro – La secchia rapita, 1930 – BEIC 1935398.djvu/158

Da Wikisource.
152 la secchia rapita


67
     Non s’usavano allor staffe né selle:
e quei signor con tanto vino in testa
correndo a lume di minute stelle,
ebbero a rimaner per la foresta.
Chi perdé il valigino e le pianelle,
chi stracciò per le fratte la pretesta,
chi rese il vino per diversi spilli,
e chi arrivò facendo billi billi.
68
     Era con lor Tarquino Collatino
che la moglie Lucrezia avea a Collazia.
Ei non era fratel, ma consobrino
e lor parente di cognome e grazia.
Tutti in corte smontar su ’l Palatino
e le mogli trovâr, per lor disgrazia,
che foco in culo avean piú ch’un Lucifero
e stavano ballando a suon di piffero.
69
     Fecero una moresca a mostaccioni,
la piú gentil che mai s’udisse in corte
e trovate al camin starne e capponi,
verso Collazia ne portar due sporte.
Giunti colá, di spranghe e di stangoni
d’ogni parte trovâr chiuse le porte;
e bussaron piú volte a l’aer bruno,
prima che desse lor risposta alcuno.
70
     Una schiavetta al fine in capo a un’ora
affacciatasi a certe balestriere,
e spinto un muso di lucerta fuora,
disse: — Chi bussa lá? Non c’è Messere. —
— C’è pur, rispose il Collatino allora,
venite a basso e vel farem vedere. —
Riconobbero i servi a quelle voci
il padrone, e ad aprir corser veloci.