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254 la secchia rapita


S. 81, v. 3: Il maggior segno di codardia è insuperbire e fare il bravo con le genti che non possono competere. Vedi appresso il Boccaccio le prove che faceva maestro Simone quand’era scolare.

CANTO DECIMO

S. 7, v. 1: In quel tempo s’usava questa lingua, come si può vedere dalle storie e dai versi de’ litterati che fiorivano allora, assai rozzi. Ma qui il poeta picca coloro che oggidí chiamano questa la lingua del buon secolo, e la vorrebbero rimettere in uso; mostrando loro come riuscirebbe alla prova. Le cose cadute dall’uso è vanitá il volerle sostentare. Il sale della satira è il condimento della comedia. Ma il poeta sfuggí di chiamare questa sua invenzione nuova di poetare «eroisatiricomica», sapendo quanto il nome di satira sia odioso in questi tempi e sospetto a quelli particolarmente che dominano.

S. 10, v. 8: Chiama gran re dell’oceano il re cattolico per lo vasto dominio ch’egli ha nell’oceano, che è dominato da lui dalle colonne d’Ercole fin sotto il polo antartico: onde a riguardo del mare il sole nasce e tramonta ne’ regni suoi.

S. 23, v. 1: Chiama Venere «moro» Libecchio, perché nasce in Mauritania; il chiama «cane», perché quivi i popoli vivono senza politica, e il chiama «senza fede», perché gli africani hanno sempre avuto per uso il mancar di fede.

S. 24, v. 3: Della prigionia di Corradino di Svevia seguita ad Astura per tradimento del signore di quella terra leggi il Villani: e veramente quella terra oggidí è distrutta e tutto il territorio è diserto, che pare appunto vendetta celeste.

S. 26, v. 8: Chiama dea del mare Venere, perché nacque dal mare, e reina del mare la cittá di Napoli perché domina tutto quel mare.

S. 27, v. 3: Manfredi principe di Taranto e poi re di Napoli fu veramente innamorato della contessa di Caserta sua sorella. Veggansi l’istorie di Napoli e le lettere di Paolo Manuzio ove porta uno squarcio di questa istoria.

Qui alcuni hanno richiesto perché il poeta non séguiti a narrare quel che facesse Manfredi per liberare il fratello dalle mani de’ bolognesi. E non s’avveggono che il poeta finisce la favola della Secchia alla quale è obbligato, e che questa è un’altra istoria,