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rime 305


XXVI

1.

Di padre Livio Galanti da Imola.

     Un casson d’ignoranza, un pozzo, un’arca
di rara ambizion, anch’ei presume
con temerario ardir spegnere il lume
del poeta toscan, del gran Petrarca?
    Di quel cigno divin, di quel monarca,
ch’è de’ sottili ingegni idolo e nume,
osa indegno scrittor d’empio volume
l’alta fama oscurar di merto carco?
     Del buon cantor che in amoroso stile
cantò beltá celeste, il cui rumore
rimbomba per stupor da Battro a Tile?
     Potrá d’invida lingua un detrattore,
della cittá del Potta anima vile
tôrre al Sol de’ poeti il suo splendore?

2.

     Dunque uno scannapidocchi, un patriarca
degli asini da basto, anch’ei presume
con una musa sudicia d’untume
di far l’archimandrita del Petrarca?
    Cigno orecchiuto, bestia de la Marca,
se posso aver di te notizia o lume,
io ti farò mutar faccia o costume
con una trippa di sua merce carca.
     Un tuo pari nutrito in un porcile
senza stil di creanza e senza onore
merta ben d’esser detto anima vile.
     Io vivo de la corte a lo splendore;
tu ti ricoverasti al campanile
per essere un poltrone, un mangiatore: