Pagina:Teatro in versi (Giacosa) I.djvu/44

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36 una partita a scacchi
E che prima di giungere al culmine agognato,
Avrai le mani lacere e il viso insanguinato?
Che dovrai divorarti il sopruso e l’affronto?
Che oggi ti chiami aurora, e domani tramonto?
Ero ancor piena l’anima di splendide chiemere
Se volavano al vento le guerresche bandiere;
Sentivo ancora i fremiti generosi e la sete
Dei perigli, e correvano le mani irrequiete,
Correvano a brandir l’asta; al nome di gloria
Mi luceva negli occhi l’ardor della vittoria;
E un giorno all’opra usata cesse il vigor, mi parve
Un peso insopportabile la mia spada. Le larve
Svaniron tutte, i moti del mio cuor furon muti,
E i miei sogni di gloria, non erano compiuti!
Fernando
Vecchio, sei grande e nobile, come nessun fu mai;
Dirò superbo un giorno: lo vidi e gli parlai.
La tua grave parola fu quella di un veggente.
Sì, le tue sagge norme le terrò fisse in mente.
Però la mia fortuna alla tua non somiglia:
Tu avesti in sorte un nome, un tetto, una famiglia.
Fu la scuola di un padre che t’educò alla vita,
E sprone alle grandi opere fu la grandezza avita.
L’armi pria che un cimento ti furono un trastullo.
Io crebbi solo, un orfano no, non è mai fanciullo.