Pagina:Teofrasto - I Caratteri.djvu/63

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la fortuna di un libro

I passi di Aristone, che noi abbiamo tradotti così come li cita Filodémo di Gàdara nel decimo libro della sua opera intitolata «I vizi», sono notevoli per davvero, e dimostrano che Aristone fu un intelligente imitatore di Teofrasto. I caratteri da lui descritti, bisogna pur convenirne, possono competere bellamente con le descrizioni teofrastee, ed è vero altresì che, a differenza delle teofrastee, le sue, per quel che ne dice Filodémo, sembrano inserite in un trattato di etica descrittiva avente per titolo «La superbia». Sottospecie del superbo sono i caratteri del maleducato, dell’ostinato, e del sapientone, e Aristone ce li descrive con evidenza dopo averne dato per ciascuno l’esatta definizione: «il cosiddetto scortese par che sia un misto di presunzione e di superbia e alterigia, e partecipa anche di molta leggerezza... », «l’ostinato poi non è tutt’affatto leggiero e irragionevole come lo scortese, ma per presunzione di essere egli solo assennato ha opinioni tutte sue...»; «anche peggiore dell’ostinato è il sapientone, il quale è convinto di tutto sapere... ».

A leggere il greco di Teofrasto e il greco di Aristone, si scorge con chiarezza che Aristone ha saputo imitare Teofrasto, non perché egli fosse abile in imitare, ma perché gli era congeniale, se così possiamo dire, la maniera di Teofrasto. Anche Aristone sente il ridicolo, e sa scoprire nel cuore umano i piú riposti segreti; anche Aristone coglie gesti, atteggiamenti, discorsi dei suo! personaggi, dalla vita e non già dalla scuola. Egli non è Licone; e non è neppure quel Satiro peripatetico del quale l’antologista Ateneo cita il frammento di un’opera che s’intitolava «I caratteri» e ch’era scritta anche peggio e più goffamente dell’altra di Licone: «nemici delle proprie sostanze sono i dissipatori e fanno scorrerie nei lor propri poderi, depredano la casa, riducono in briciole quel che hanno, stanno accorti non già a quel che si spenda ma a che cosa possano dilapidare, non a ciò che debba loro rimanere ma a quel che rimanere non debba, e in giovinezza consumano il viatico della vecchiaia, e godono di star con l’etera ma non coi ca-


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