Pagina:The Oxford book of Italian verse.djvu/458

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GIACOMO LEOPARDI

          140Che ti parve sì mesto e sì nefando,
          È peggiorato il viver nostro. O caro,
          Chi ti compiangeria
          Se, fuor che di sè stesso, altri non cura?
          Chi stolto non direbbe il tuo mortale
          145Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
          Ha nome di follia;
          Nè livor più, ma ben di lui più dura
          La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
          Se più de’ carmi il computar s’ascolta,
          150Ti appresterebbe il lauro un’altra volta?
     Da te lino a quest’ora uom non è sorto,
          O sventurato ingegno,
          Pari all’Italo nome, altro ch’un solo,
          Solo di sua codarda etate indegno,
          155Allobrogo feroce, a cui dal polo
          Maschia virtù, non già da questa mia
          Stanca ed arida terra,
          Venne nel petto; onde privato, inerme,
          (Memorando ardimento) in sulla scena
          160Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia
          Questa misera guerra
          E questo vano campo all’ire inferme
          Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena
          Scese, e nullo il seguì, chè l’ozio e il brutto
          165Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
     Disdegnando e fremendo, immacolata
          Trasse la vita intera,
          E morte lo scampò dal veder peggio.
          Vittorio mio, questa per te non era
          170Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
          Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
          Paghi viviamo, e scorti

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