Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/17

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xvi vita

era il Tiraboschi che sembrava aggirarsi pellegrino in terra straniera.

Dimostrò la sua diligenza e la sua erudizione scrivendo diffusamente la vita di Fulvio Testi, poeta nobilissimo, fuor d’ogni dubbio, sopra quanti fiorirono nel secolo XVII: e l’elogio storico di Rambaldo de’ Conti Azzoni, poeta anch’esso, e uomo certamente illustre per coltura e pel patrocinio compartito alle lettere. Il Tiraboschi amava i poeti, perchè egli pure erasi talvolta esercitato nelle dolcezze della poesia, come dimostrano que’ pochi versi latini ed italiani che di lui pubblicò l’ab. Carlo Ciocchi in quell’opuscolo nel

    nondimeno viene asserito da persone degne di tutta fede ch’ei n’avesse bastevole cognizione. E quello stesso ne fa testimonio ch’egli dice, nel primo volume della sua Storia, intorno alla letteratura degli abitatori della Magna Grecia e de’ Siciliani antichi. Onde vuolsi temperare questa asserzione di Monsignor Fabroni, la quale troppo offende la memoria di sì chiaro letterato, qual fu il N. A. Giuseppe Beltramelli, che nel più volte citato suo Elogio difende esso pure il Tiraboschi da questa taccia datagli da Monsignor Fabroni, riflette in una nota, che quantunque il Tiraboschi medesimo confessasse di non essere nella lingua greca dottissimo, il che avrebbe detto per modestia anche essendolo, nondimeno nella Lettera al Reverendissimo Padre N. N., cioè, al P. Mamachi, ch’era Greco di nascita, disvela un errore grossolano in fatto di greca lingua, in cui quel Padre era caduto, fosse caso o malizia, cosa che non avrebbe fatta il N. A. se tanto in essa lingua fosse stato ignorante. Veggasi quella Lettera nel T. viii della St. della Lett. It. Ed. ii. di Modena, pag. 617; e l’Elogio del Beltramelli p. 48 e 76. — Nota del Traduttore.