Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/233

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184 parte

passò in poter de’ Romani; e allora la lingua de’ vincitori dovette assai più ampiamente propagarsi tra’ vinti. Veggiam di fatto pochi anni appresso, cioè l’anno 514, Livio Andronico, natio di queste provincie, come mostreremo tra poco, produrre prima di ogni altro sul teatro romano un’azione drammatica; e poco appresso veggiam seguito l’esempio di Andronico da Nevio, da Ennio, da Pacuvio, tutti natii delle provincie medesime. Sulla fine del secolo stesso, cioè l’anno di Roma 52, i Romani, volendo quasi mostrare di conceder per grazia ciò ch'essi desideravano, permisero a que’ di Cuma di usare ne’ pubblici atti della lingua latina: Cumanis eo anno petentibus permissum, ut publice latine loquerentur, et praeconibus latine vendendi jus esset (Liv.l. 40°, c. 14, n. 43). Assai maggiori progressi dovette ivi fare la lingua latina, quando dopo la guerra Marsica fu a que’ popoli accordato l’anno 663 il diritto della cittadinanza. Di fatto Strabone, il quale scriveva ne' primi anni di Tiberio, si duole che poche città allor rimanessero che potesser tuttora appellarsi greche. Adeoque eorum crevit potentia, dice egli parlando de’ Greci che andarono ad abitare quelle provincie (Geogr. p. 253), ut ista regio et Sicilia nomine magnae Graeciae censerentur. At nunc, Tarento, Regio et Neapoli exceptis, omnia in barbariem sunt redacta, aliaque a Lucanis et Brutiis, alia a Campanis obtinentur, ab his quidem verbo, reapse a Romanis, sunt enim et ipsi Romani. Vedrem di fatto che in queste tre città, e in Napoli singolarmente, si mantenne ancor per