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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/421

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372 PARTE TERZA passion di dolore. Imperocchè al vedermi d’avanti un uomo eh’io mi ricordava essere stato console, un generale d’eserciti a cui avea il Senato conceduto l onor di salire al Campidoglio in forma poco dissimile dal trionfo; al vederlo, dico, abbattuto, costernato, aff itto, in rischio di perdere ogni cosa, non prima incominciai a parlare per muover gli altri a compassione, ch’io era tutto intenerito. M’accorsi allora veramente della straordinaria commozione de’ giudici, quando quell affitto e di gramaglia vestito vecchio levai da terra, e quelle altre cose feci da te, o Crasso, lodate, di stracciargli la camicia sul petto, e mostrarne le cicatrici; il che non fu effetto di arte, della quale non saprei che mi dire, ma sì d una gagliarda commozion d animo addolorato. E nel mirar C. Mario ivi sedente, che colle sue lagrime più compassionevol facea il lutto della mia orazione, allorchè a lui mi volgea con ispesse apostrofi, raccomandandogli il suo collega ed implorando il suo ajuto per difender la causa comune di tutti i capitani; questi tratti patetici e l’invocar eh io feci tutti gt Iddìi e gli uomini, cittadini e alleati, non potean non essere da un mio gravissimo dolore e dalle mie lagrime accompagnati: e per quanto avess’io saputo dire, se detto l’avessi senza esserne passionato, non che a compassione, avrebbe il mio parlare mossi a riso gli uditori. V. Ma questo grande oratore ebbe una sorte ! troppo diversa da quella eli’ ei meritava. Ne abbiamo il racconto in Plutarco (Vit. C. Marii). Mario, uno di quegli eroi nei quali è malagevole