Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/441

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XV. Confronto di questi due oratori. ÓC)2 PAH TE TERZA mirantur, diversa latini sermonis ratio tninus pernii se rit. XV. Io penso che Quintiliano abbia ristretto in breve quanto a questo punto appartiene. Nondimeno, se mi è lecito 1 aggiugnere alcuna cosa, io rifletto che Demostene usa sempre di un medesimo genere d’eloquenza, forte, conciso, vibrato. Egli è a guisa di fulmine che scoppia in un momento , ferisce e passa; non mai a guisa di vasto incendio che ampiamente si sparge per ogni parte ed ogni cosa consuma. Ma Cicerone, benchè abbia il più delle volte un’eloquenza più sciolta, e uno stil più copioso e sonante, sa nondimeno, ove gli sem- i bri opportuno, cambiar maniera e usare di un" eloquenza forte e stringente. In fatti non solo le Filippiche sono scritte in questo stile, ma in altre orazioni ancora egli ce ne somministra bellissimi esempii. Qual forza, qual precisione non ha egli in una gran parte della seconda orazione contro la legge Agraria, di quella a favor di Milone, e in altre ancora, allor quando si tratta di confutare e di stringere l’avversario! Pare veramente ch’egli lo assalti, lo urti, lo spinga, finchè nol vegga costretto a cedergli il terreno. Se egli vuole sfogare il suo mal talento contro de’ suoi nimici, qual violenza, qual impeto non hanno allora le sue orazioni! Tali son quelle contro di Verre, di Vatinio, di Pisone, e quella a favore di Sestio. Se egli vuol finalmente esaltare i meriti e le gloriose imprese di alcuno, o spiegare que’ sentimenti di gratitudine e d’allegrezza che convengono alle occasioni in cui