Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/452

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LIBRO TERZO qoÓ giovanili un tal cimento! Sapevano essi che l’eloquenza era una delle più certe e delle più onorevoli vie per giungere alle più ragguardevoli cariche e per raccogliere insieme non ordinarie ricchezze. Aveano sotto gli occhi gli esempii di tanti che per questa via eransi renduti celebri per tal maniera, che giunti a’ più grandi onori, e divenuti gli arbitri, per così dire, del senato e del Foro, nello stato di cittadini privati uguagliavano l’autorità, la gloria e le ricchezze ancora dei più potenti monarchi. Quale stimolo a usar di ogni sforzo per seguire le loro tracce! Aggiungansi i magnifici argomenti de’ quali spesso aveano a trattar ragionando. Molte volte, è vero, eran cause private di cittadinanza, di furti, di eredità. Ma quante volte aprivasi loro innanzi una carriera la cui sola veduta risvegliava loro in cuore il più nobile e generoso coraggio! Prender la protezione di un’intera provincia, e sostenerla contro chi voleva recarle danno e rovina; combattere ed atterrare la prepotenza, l’ambizione, i rei disegni di qualche torbido cittadino; persuadere, o dissuadere l’approvazione di qualche legge; eccitare il popolo a desiderio o di guerra, o di pace, secondo il bisogno. Quindi gli affari della Repubblica divenivano in certa maniera a Ilari proprii dell’oratore che li trattava; poichè egli ne avea tutto l’onore, se conduceagli a termine felicemente. Or una tale costituzione di cose, come dovea necessariamente produrre, e produsse di fatto partiti, impegni, discordie e fazioni ancor sanguinose, così era opportunissima per animare coloro che dalla natura sortito