Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/451

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402 parte terza xxn. Prosiegue di fatto lo stesso autore, e altre ragioni arreca alle quali a miglior diritto possiamo attribuire questo fatale dicadimento. Ne’ tempi addietro, egli dice, quando un gio. vane ammaestrar volevasi nell7 eloquenza, poiché nelle scienze era stato istruito, veniva condotto dal padre ad uno de’ più celebri oratori che fossero in Roma. Sotto la direzione di questo continuava egli i suoi studi, e con lui interveniva alle cause che da lui, o da altri si trattavan nel Foro. Quale spettacolo era questo e quanto opportuno a formare un perfetto oratore! Vedeva il popolo affollato pendere dalle labbra degli oratori che ragionavano; vedeva quale impressione facesse negli uditori il lor favellare , quali fosser le cose a cui più si applaudisse, e (quali venissero disprezzate e ancora derise; vedeva quali fossero i mezzi più opportuni a destar nell’animo degli uditori o dei giudici que’ movimenti e quegli affetti

che più piacesse. Quindi ammaestrato da tale

esperienza, e animato dall’esempio degli altri oratori, facevasi egli pure in età ancor giovanile a trattar cause e a perorare da’ rostri, Grande ed arduo cimento, ma lusinghevole e dolce a un giovane di vivace spirito e d’indole generosa! Trovarsi innanzi ad una moltitudine immensa, che benchè non avesse in gran parte coltivate le scienze, provveduta nondimeno di ottimo senso, ed avvezza a decidere del merito degli oratori, era disposta o ad innalzare con plausi, o a rigettare colle fischiate chi la prima volta facevasi ad arringare. Qual ariore e (qual fuoco dovea accendere negli animi