Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/450

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LIBRO TERZO 40t nè mai vedessero cosa disdicevole e sconcia. Ora a qualche greca fantesca si abbandonano i fanciulli, e ad uno o due de’ più vili schiavi, da’ quali nulla possono apprendere fuorchè fole ed errori; e nei lor genitori medesimi altri esempii non veggono che di ozio e di libertinaggio- Riflette inoltre lo stesso autore sulla maniera con cui nelle lettere venivano ammaestrati i fanciulli. In vece d’istruirli, egli dice, nella lettura de’ migliori scrittori, e nello studio dell’antichità e della storia, si condu-. cono alle scuole de’ retori, uomini che nella nostra città non hanno mai avuto gran nome. Quindi rammenta ciò che narra di se medesimo Cicerone, cioè dell’infaticabile ardore con cui egli si rivolse allo studio della filosofia, delle leggi e di ogni altra scienza necessaria a formare un perfetto oratore; e mostra che tale non sarà mai chiunque non sia in tutte le scienze diligentemente istruito. Or come apprenderle, dice, da cotesti retori, uomini che nulla sanno non che di filosofia e di leggi, ma nemmeno di colto ed eloquente parlare? Queste son certamente ragioni tali che a gran passi conducono all’ignoranza’ , ma nondimeno esse non fanno al nostro proposito. Qualunque fosse l’educazion de’ fanciulli al tempo d’Augusto, ogni altra scienza fu allora coltivata felicemente; e l’eloquenza sola fu quella che venne meno, e dicadde dall’antica sua gloria. Convien dunque cercarne ragioni tali che sian proprie dell’eloquenza, e per cui s’intenda come potessero gli altri studi fiorir tuttora, e la sola eloquenza soffrir danno sì grande. Tiraboschi, Voi. I. 26