Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/449

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400 PARTE TERZA Retore (Prefadl. i Controv): Tutto ciò che la romana eloquenza può contraporre o preferire alla superba Grecia, fiorì a’ tempi di Cicerone. GF ingegni che luce e ornamento recarono a’ nostri studi, tutti nacquero allora. D’indi in poi le cose han sempre piegato in peggio. Questo ilicacliniento adunque dell’eloquenza latina appartiene ai tempi di cui parliamo; e a questo luogo perciò se ne vogliono attentamente esaminare l’origine e le cagioni. Molto si è scritto su questo argomento; ma, a mio parere, esso non è ancora stato rischiarato abbastanza. Io non so quale sarà il frutto delle mie ricerche. Qualunque esse sieno, varranno forse ad eccitare alcuno a trattare profondamente una tal quistione, in modo ch’egli riesca a ciò ch’io avrà inutilmente tentato. XXI. Abbiamo un Dialogo che da altri si attribuisce a Tacito, da altri a Quintiliano, da altri ad altro scrittore, di che a suo luogo ragioneremo; ma certo è di autore antico che scriveva, com’egli stesso attesta, nel sesto anno di Vespasiano; abbiam, dico, un Dialogo intitolato De Caussis corruptae Eloquentiae, nel quale si va disputando qual possa essere la ragione per cui l’eloquenza era già dicaduta di tanto. Molte se ne arrecano. E primieramente l’educazion de’ fanciulli troppo diversa di quella che prima si usava. Ne’ tempi andati, dice f autor del Dialogo, le madri stesse avean cura della educazione de’ lor figliuoli; e qualche matura e. onesta donna sceglievasi, sotto a’ cui sguardi fossero di continuo, e in cui nè parola alcuna meno che onesta non udissero mai,