Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/456

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LIBRO TERZO 4<>7 Eppur qual diversità tra gli oratori di questa età e quelli dell’età trapassate! Come dunque nelle medesime circostanze pur vi hanno sì diversi generi di eloquenza, così potrebbe lo stesso genere conservarsi anche in circostanze diverse. Convien dunque entrare ancora più addentro in questo argomento, e trovare qualche altra ragione a cui il dicadimcnto dell1 eloquenza si possa più probabilmente attribuire. XXV. Seneca entra egli pure a trattarne: e appresso le parole da noi già recate, in cui afferma che dopo Cicerone l’eloquenza cominciò a venir meno, così prosiegue recandone le ragioni: Sive luxu temporum, nihil est enim tam mortiferum ingeni is quam luxuria; sive cum praemium pulcherrimae rei cecidisset, translatum est omne certamen ad turpia multo honore quaestuque vigentia; sive fato quadam, cujus maligna perpetuaque lex est, ut ad summum perducta rursus ad infimum, velocius quidem quam quod ascenderant, relabantur. Arreca egli per prima ragione il lusso introdotto in Roma; e certo è difficile assai che lusso e scienza convengano insieme. Ma questa non è ragione particolare a far cader l’eloquenza, ma universale a rovina delle scienze tutte. Più particolare alla eloquenza è la ragione de’ premj che non potevansi più sperare: di questa già abbiam parlato di sopra. Lasciamo a Seneca il suo destino che adduce per terza ragione. Ma benchè rigettisi il destino, vero è nondimeno che vedesi comunemente avvenire che ove qualche arte, o qualche scienza è giunta alla sua perfezione, cominci a dicademe xxv. Ragionimi dotte da Se nera e da al tri.