Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/480

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I.IBRO TERZO 431 scienze egregiamente istruito. Già abbiam veduto che nell’eloquenza egli solo forse avrebbe potuto gareggiare con Cicerone, se la sua ambizione non gli avesse fatto abbandonare il foro; e che colla stessa forza diceva egli da’ rostri, con cui combatteva nel campo. Coltissimo nello stile, volle ancora svolgerne i precetti ne’ due libi da lui composti, e intitolati de Analogia, libri, ciò ch’è più da ammirarsi, da lui scritti, come narra Svetonio (in Jul. c. 56), mentre viaggiava per l’Alpi passando dalla Gallia Cisalpina nella Transalpina. Egli li dedicò a Cicerone; ed ecco con qual elogio questi introduce Attico a ragionarne, e come destramente vi inserisce ciò che Cesare aveva scritto in sua lode (De Cl Orat. n. 72): Quin etiam in maximis occupationibus cum ad te ipsum (inquit in me intuens) de ratione latine loquendi accuratissime scripserit, primoque in libro dixerit, verborum delectum originem esse eloquentiae, tribueritque, mi Brute, huic nostro (cioè a Cicerone), qui me de illo maluit, quam se dicere, laudem singularem , (nam scripsit his verbis, cum hunc nomine esset affatus: Ac, si cogitata praeclare eloqui possent, nonnulli studio et usu elaboraverunt, cujus te pene principem copiae atque inventorem bene de nomine ac dignitate populi Romani meritum esse existimare debemus) hunc facilem et quotidianum novisse sermonem, nunc pro relicto est habendum. Anzi nel tempo medesimo in cui egli vie maggiormente pensava a stabilire in Roma il suo indipendente dominio, e a riformare gli abusi della Repubblica,