Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/495

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446 FAUTE TERZA notizie intorno alla vita di Livio sarebbe agevole a sofferirsi, se tutta se ne fosse conservata la Storia Niuno avea ancora intrapresa, o condotta a fine opera di sì gran mole. In cento quarantadue libri avea egli compresa tutta la storia romana dalla fondazione di Roma fino alla morte di Druso. Qual danno che di sì grand’opera solo trenta cinque libri siano a noi pervenuti! Tutti gli antichi autori ne parlano con somme lodi. Seneca il Filosofo lo chiama eloquentissimo uomo (l. 1 de Ira, c. 16) * Plinio il Vecchio lo dice autore celebratissimo (praef. ad hist. nat.). Ma Quintiliano singolarmente ne fa grandissimi eneo unii 3 e olire il dirlo uomo di maravigliosa facondia (L 8, c. 1); oltre il chiamare lattea facondia quella di che egli usa (l. 10, c. 1), così ne forma il carattere: Nè sdegnisi Erodoto che Livio gli venga paragonato, scrittori mi/ abilmente grazioso e terso nelle sue narrazion i, e nelle parlate sopra ogni crc,!ere eloquente; così ogni cosa egli sa adattare e alle persone e alle cose di cui ragiona. Quanto agli affetti, e a quelli singolarmente che son più dolci, niuno degli storici, a parlare modestamente, ha saputo esprimergli meglio. In tal modo la immortale brevità di Sallustio ha egli potuto con diverse virtù uguagliare. Perciocchè parmi che ottimamente dicesse Servilio Nomiano, che questi due scrittori sono uguali, anzichè somiglianti. Dopo questi elogii, poco ci dee muovere il detto già rammentato di Asinio Pollione, che diceva di troé vare in Livio una non so qual aria di padovano. Si è cercato da molti che cosa intendesse cosi