Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/559

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5,0 parte terza sta scritto: Digna cognitu res ingemo Facon Un L. mathematicis (così è stampato, forse in vece di mathematici) apici auratam, ec. Ed ecco un Facundino matematico e liberto (perciocchè che la lettera L. così debba spiegarsi, l’esempio di mille Iscrizioni cel persuade), a cui secondo la lezione di questi codici sembra che una tal lode debbasi attribuire. Confesso però che non parmi ancor la cosa così accertata che non possa rivocarsi in dubbio. Comunque grande sia 1 autorità de’ due codici fiorentini troppo grande è il numero degli altri in cui si legge diversamente. Così riflette anche il soprallodato celebre autore delle Disquisizioni Pliniane, il quale pensa che seguir si debba la lezione di varii codici da lui veduti, che hanno Manilius (ib. p. 200, ec.). Onde a me pare che su questo punto ci sia forza il restare tuttora al buio. XXVITT. La menzione che fatta abbiamo di questo obelisco, ci conduce a dire ancor qualche cosa degli orologi solari, ed a ricercare a qual tempo cominciassero ad essere usati in Roma. Niuna cosa ci fa meglio conoscere la rozzezza de’ Romani ne’ primi secoli , quanto ciò che della loro maniera di misurare le ore ci narra Plinio (l. 7, c. 60). Nelle leggi delle XII tavole non facevasi menzione alcuna di ore, come se non se ne avesse idea; e solo vi si nominava il nascere e il tramontare del sole. Alcuni anni dappoi cominciarono i Romani ad avvedersi che eravi anche un tempo il quale chiamar potevasi mezzo giorno, e che opportuna cosa sarebbe stata, se gli uomini ne