Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/71

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22 prefazione

italiani hanno urtato a questo scoglio; e io mi recherò a dovere il confutarli, quando mi sembri che qualche loro asserzione, benchè gloriosa all’Italia, non sia bastantemente provata. Ma gli stranieri ancora non si lascian su questo punto vincer di mano; e i già mentovati dottissimi autori della Storia Letteraria di Francia ce ne daranno nel decorso di quest’Opera non pochi esempj. Qui basti l’accennarne un solo a provare che anche i più eruditi scrittori cadono in gravi falli, quando dall’amor della patria si lasciano ciecamente condurre. Essi affermano (t. 1, p. 53) che i Romani appresero primamente da’ Galli il gusto delle lettere. L’opinion comune, che esamineremo a suo tempo, si è che il ricevesser da’ Greci; e niuno avea finora pensato che i Galli avessero a’ Romani insegnata l’eloquenza e la poesia. Qual prova recano essi di sì nuova opinione? Lucio Plozio Gallo, dicono, fu il primo che insegnasse rettorica in Roma, come afferma Svetonio. Lasciamo stare per ora che non sappiamo se Prozio fosse nativo della Gallia Transalpina, o della Cisalpina, e se debba perciò annoverarsi tra’ Francesi, o tra gl’Italiani. Ma come è egli possibile che sì dotti scrittori, come essi sono, non abbiano posto mente al solenne equivoco da cui sono stati tratti in errore? Svetonio e Cicerone, come a suo luogo vedremo, non dicon già che Plozio fosse il primo professore di rettorica in Roma, ma che fu il primo che insegnolla latinamente, poichè per l’addietro tutti i retori usato aveano della lingua greca. In fatti Plozio visse a’ tempi di Cicerone; e il gusto