Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/19

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XVIII PREFAZIONE se I’ ha letto, ha egli inteso il racconto di Plinio il Giovane? Non dice egli colle più chiare parole che usar si possano, che suo zio morì fra le braccia di due schiavi? Innitens servulis duobus assurrexit, et statim concidit, ut ego colligo, crassiore caligine spiritu obstructo (l. 6, ep. i(i). Non potevan dunque gli schiavi medesimi mostrare il luogo in cui era morto? e per quanto fosse alta la cenere, non potevan essi scoprirne il corpo? Che direm poi della fedelissima traduzione che fa il nostro autore di altre parole di Plinio? Questi dice: Ubi diesì redditus si, ab eo quem novissime viderat, tertius, corpus inventum. A me pare che anche un fanciullo intenderebbe che queste parole voglion dire che il terzo giorno, dacchè Plinio era morto, ne fu trovato il cadavere. Ma il nostro autore traduce leggiadramente: Il dì seguente alla morte: dès le lendemain de sa mort. E questi son dunque i censori, i disprezzatori, i derisori degli storici antichi? Ma passiamo alla seconda osservazione critica del formidabile Aristarco. “Inoltre, dic’egli, Plinio il Giovane avrebbe dovuto insegnarci in qual maniera respirava egli e gli altri eh7 erano in Miseno , in mezzo di una pioggia di cenere così densa, che cambiava il giorno in una notte, simile a quella di una camera ben chiusa e senza luce, singolarmente essendo questa pioggia composta di cenere ardente, e lanciata con tale rapidità che si stendeva fino a due o trecento leghe”. Grande difficoltà a dir vero, e tratta da una nuova fisica osservazione sinora ignota a’ più valenti filosofi. La pioggia dunque di cenere toglie il respiro? In primo luogo converrebbe vedere se fosse tale che il togliesse del tutto, o solo il rendesse più difficile e più grave. A Stabie gli altri rimaser vivi: Plinio solo morì , e ciò perchè egli avea naturalmente affannoso il respiro, onde più facilmente potè essere soffocato: spiritu obstructo , dice il nipote, clausoque stomaco, qui illi natura invalidus, angustus, et frequenter interaestuans erat. Ma senza ciò, io so bene che una veemente esalazione della terra, o un improvviso e impetuoso diradamento dell’aria cagionato o da un fulmine che scoppj vicino, o da una veemente fiamma che cinga alcuno , il può condurre a pericolo di rimaner soffocato. Ma qui non vi era nè fulmin nè fiamma;