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174 libro

Vili. Tale era, a’ tempi di cui parliamo, lo) stato dell’eloquenza in Roma; e se ci fosser rimaste le orazioni di alcuni di quegli oratori noi potremmo ancora giudicare più facilmente del lor carattere. Ma nulla se n’è conservato; e i soli scritti appartenenti all’eloquenza che sieno fino a noi pervenuti , son que’ di Seneca il retore, di Quintiliano, di Calpurnio Flacco, e il celebre Panegirico di Plinio. Di questi adunque ci convien qui favellare, ed esaminare ciò che ad essi appartiene. Non fa d’uopo, io credo, che mi trattenga a provare la distinzione tra M. Anneo Seneca il retore e L. Anneo Seneca il filosofo di lui figliuolo. Non v’ha al presente tra gli eruditi chi ne muova alcun dubbio. Basti solo il riflettere che Seneca il retore visse a tal tempo, come or ora vedremo, che avrebbe potuto udir Cicerone, ucciso circa 40 anni innanzi all’era cristiana, e il filosofo fu ucciso sotto Nerone l’anno 65 della stessa era. Ei fu nativo di Cordova in I,spaglia per comun consenso degli scrittori, e per espressa testimonianza di Marziale (l. 1, epigr. 62) e di Sidonio Apollinare (Carm. 9). Ei dovette nascere verso il fine del settimo secol di Roma, perciocchè ei narra di se medesimo (procenk i. 1 Conlrov.) che uditi avea i più famosi oratori che a’ tempi di Cicerone eran vissuti; e che avrebbe ancor potuto udire il medesimo Cicerone,- se il furor delle guerre civili non l’avesse costretto a starsene lungi da esse nella sua patria. Convien dire però che dopo il fine delle stesse guerre ei venisse a Roma; poichè ei narra (proœm. in l. 4 Excerpta Controv.)