di leggieri. Ma più ancora. Tutti i passi arrecati da Seneca sono a un dipresso del medesimo gusto , del medesimo stile: in tutti si
vede l’amor del nuovo, dell’ammirabile, dell’ingegnoso, qual fu proprio di tutta la famiglia de’ Seneca. È egli possibile che tanti oratori o declamatori, quanti da lui si rammentano,
tutti avessero la maniera stessa di scrivere e
di pensare? Parecchi di quelli che veggiam da
Seneca nominati, si nominano ancora da Quintiliano, come poscia vedremo. E questi formando il carattere di ciascheduno, mostra
quanto essi fossero tra lor diversi. Ma presso
Seneca sotto diversi nomi sembra che un solo
parli, o che tutti si adattino allo stile di un
solo. Io confesso che non so indurmi a pensare che i passi, quali abbiamo in Seneca,
sian veramente quai furon detti da quelli a’
quali egli gli attribuisce. Credo anzi ch’egli o
volesse usar di finzione, come fanno gli storici che attribuiscono ai personaggi delle loro
storie que’ ragionamenti di cui essi medesimi
sono gli autori; o che troppo fidandosi al vigore della sua memoria intraprendesse quest’opera con isperanza di potervi riuscire; ma che
poscia si trovasse comunemente costretto a
parlare egli medesimo, e a prestare sentimenti
e parole a coloro che da lui son nominati.
Comunque sia di ciò, di che io non ardisco
di diffinir cosa alcuna, noi abbiamo in quest’opera un vero esempio della guasta e corrotta eloquenza che allor regnava. Vi s’incontrano sparsi alcuni sentimenti pieni di maestà
e di forza; ma restan, per così dire, oppressi