Valerio Massimo è troppo diffuso, soggiugne:
Recidam itaque, ut vis, ejus redundantiam , et
pleraque transgrediar; nonnulla proetermissa
connectam. È certo dunque che Nepoziano ridusse in compendio Valerio Massimo. Ma egli
è certo ugualmente che questo compendio sia
quello appunto che noi abbiamo? Il P. Labbe
non fa altro che riferire la detta lettera; non
dice se nel codice da lui veduto alla lettera
si aggiunga l’opera, e se questa sia quale appunto è stampata, anzi nemmeno accenna in
qual biblioteca esista il codice sopraddetto.
Come dunque esser sicuri che noi abbiamo al
presente non l’opera di Valerio Massimo, ma
il compendio di Nepoziano? Pare ad alcuni che
l’opera, quale ci è giunta, non abbia quella
soverchia prolissità che Nepoziano in essa riprende; e ch’ella anzi abbia l’apparenza di un
ristretto compendio. Io rispetto il giudizio de’
dotti uomini che senton così; ma confesso che
a me ne pare troppo diversamente; e che io
penso che se dall’opera di Valerio Massimo si
togliessero tutte le declamazioni importune, le
inutili digressioni e le ricercate sentenze che
spesso vi s’incontrano, essa potrebbe restringersi a assai più picciol volume. E questa è
per me assai più valevol ragione a credere che
noi abbiamo non il compendio, ma l’opera intera , che non quella che da altri si adduce,
cioè che da Gellio e da altri antichi scrittori
se ne adducono alcuni passi, i quali colle stesse
parole precisamente si trovano ora in Valerio
Massimo; perciocchè non sarebbe difficile che
il compendiatore avesse ritenute le parole e le
Tibaboschi, Voi. II. i4