Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/248

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«i attribuisca a C. Tito Probo, il quale non ne fu forse che il copiatore (V.Fabr. Bibl. lat. l 2, c. 5). VI. Debbo io tra gli scrittori di questa età annoverare ancor Quinto Curzio? Non vi ha forse punto di storia letteraria incerto al pari di questo. ’ Niuno degli antichi scrittori fino al secolo XII ha fatto menzione della Storia di Curzio. Di questa si è perduto il principio, in cui forse egli avrà parlato di se medesimo. In tutto il decorso di essa non vi è che un passo in cui egli alluda a’ suoi tempi, ma così oscuramente che non vi ha quasi secolo alcuno a cui quelle espressioni non possano convenire. Come dunque accertare, anzi come affermare con qualche probabile fondamento, a qual tempo sia egli Vissuto? Ecco il celebre passo di Curzio. Narrando le dissensioni che per la divisione del regno di Alessandro si eccitarono, così ci dice (l. 10, c. 9); Proinde jure meritoque popidus romanus salutem se principi suo delebere profitetur, cui noctis, quam pene supremam habuimus, novum sidus illuxit. Hujus hercule, non solis ortus, lucem caliganti reddidit mundo, quum sine suo capite discordia membra trepidarent. Quot ille tum exstinxit f acesi quot condidit gladios? quantam tempestatem subita serenitate discussit? Non ergo revirescit solum, sed etiam floret imperium. Absit modo invidia: excipiet hujus saeculi tempora ejusdem domus utinam perpetua, certe diuturna, posteritas. Se Curzio avesse voluto farsi giuoco de’ posteri, e propor loro a sciogliere un oscurissimo enigma, non altrimenti