Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/249

Da Wikisource.

<212 LIBRO avrebbe potuto conseguir meglio il suo fine che colle addotte parole. Chi è il principe di cui egli ragiona? Quale fu questa notte che per poco non riuscì fatale all’impero? Quale lo sconcerto de’ membri rimasti senza capo? Qui è dove i critici si dividono in contrarj pareri, e gli uni combatton cogli altri, e ciaschedun si lusinga di riportarne vittoria. Altri dunque vogliono che di Augusto debban intendersi le arrecate parole, perchè egli, dicono, estinse ed acchetò finalmente le civili discordie;, altri le adattano a Tiberio, altri a Claudio, altri a Vespasiano, altri a Traiano, altri a Teodosio. Veggansi i sostenitori di tutte queste sentenze preso il Fabricio (Bibl.lat. l. 2, c. 17), e più stesamente ancora nella seconda parte del Ragionamento della gente Curzia, e dell’età di Q. Curzio l’istorico, del conte. Gianfrancesco Giuseppe Bagnolo, stampato in Bologna l’ann 1745, il quale dopo avere esposti e confutati i sentimenti altrui, propone il suo da tutti gli altri diverso, cioè che Curzio fiorisse a’ tempi di Costantino il Grande, e che di lui egli intenda di favellare nel citato passo. In tanta diversità di pareri a qual partito potrem noi appigliarci? Alcuni hanno speditamente troncato il nodo, affermando che la Storia di Curzio non è altro che una recente impostura di autore vissuto tre o quattro secoli addietro. Tale racconta Guido Patino essere stata l’opinione di un suo maestro (Lettres, t. 1, l. 44)j ta^e ancora era il parere dell’erudito Corrado Schurtzfleischio (V. Acta Erud. Lips. 1729, p. 410). Ma qualunque