Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/256

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della guerra civile, che per la discordia del senato e de’ soldati e del popolo era ormai per accendersi, e ricondusse in Roma la pubblica tranquillità. Se dunque Curzio parla sicuramente, come abbiam dimostrato, di una determinata notte che fu per esser fatale a Roma, se tale fu veramente, come fu di fatto, la notte seguente all’uccision di Caligola, in cui Claudio fu portato al trono; e se nella storia degli antichi imperadori niun1 altra notte si trova, in cui avvenissero somiglianti vicende, come io penso che non si possa certo trovare, sarà evidente che Curzio parla di Claudio, e che regnando Claudio egli scrisse la sua Storia. X. Ma Claudio, dicono alcuni, era un principe vigliacco e codardo che si lasciò condun e sul trono dalla violenza e dal furor de’ soldati, e che incapace di far fiorire l’impero, e di ristabilirvi la pubblica pace, lo sconvolse vie maggiormente, lasciandosi regolar ciecamente da pessimi consiglieri e da ribaldi liberti. Come dunque poteva Curzio farne sì grandi elogi, e attribuire a lui la salute del romano impero? Difficoltà che non può aver forza se non presso chi non conosce punto gli scrittori de’ tempi di cui parliamo. Se Velleio Patercolo potè parlare con sì gran lode di Tiberio e di Seiano, se Seneca potè commendar tanto le virtù di Nerone, se Stazio, Marziale.e Quintiliano poteron fare sì grandi elogi di Domiziano, non potè egli ancor Curzio parlare per somigliante maniera di Claudio? Era certo che l’elezione di Claudio avea calmato il tumulto che già cominciava a sollevarsi in Roma. E ciò potea