Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/268

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ingegnosa; ma io chiederò al big. d1 Alembert, per qual ragione egli, che certo non cede a Tacito in ingegno, non usa egli pure di una somigliante maniera di scrivere troppo concisa ed oscura? per qual ragione ha egli tradotti i detti passi di Tacito per tal maniera , che ritenendone la forza dell’espressione e la nobiltà del sentimento , ne toglie ciò che vi ha di soverchio raffinamento e di affettata oscurezza? E certo io intenderò bene che non tutti possano scoprire i più fini e delicati pregi di uno scrittore, e che ciò sia riserbato soltanto a’ più felici ingegni; ma che uno scrittore, in cui que’ medesimi che hanno pure buon gusto di latinità, e che son ben versati nella lettura de’ più pregiati autori, ritrovano spesso oscurità, inviluppo, sforzo e inverisimiglianza; che un tale scrittore, io dico, ci si voglia ad ogni modo vantare come perfetto e maraviglioso modello, io confesso che nol saprà intender giammai. Che se questo mio pensare sembrasse al sig. d’Alembert effetto di pregiudizio di educazione , io pregherollo a vedere ciò che di Tacito scrive uno de’ più liberi e de’ più ingegnosi scrittori dello scorso secolo, dico M. di S. Evremont. A me sembra , egli dice ((Oeuvr. mêlées t. 1, p. 76, éd. de Lyon 1692), che Tacito volga ogni cosa in politica: presso lui la natura e la sorte poca parte hanno nell’esito degli affari; e s io non erro, di azioni semplici, ordinarie e naturali ci reca spesso troppo lontane e ricercate cagioni. Ne adduce quindi alcuni esempj, e poscia così prosiegue: Quasi in ogni cosa ei ci offre quadri troppo