Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/283

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l\6 LIBTIO di compir gli altri, quanto più avidantente vedeva leggersi i primi. A me pare che la morte di quelli che apparecchiano cose degne della immortalità, sia sempre acerba troppo ed immatutra. Perciocchè coloro che abbandonati a’ piaceri vivono, per così dire, alla giornata, compiono ogni giorno l’oggetto e il fine della lor vita. Ma a quelli che pensano alla posterità , e che voglion lasciar di se stessi qualche memoria ne’ loro libri, la morte è sempre improvvisa, perchè sempre interrompe qualche lor fatica. Sembra nondimeno che Fannio avesse un cotale presentimento di ciò che è avvenuto. Parvegli una volta dormendo di giacersi nel suo letto in atteggiamento di studiare , e avendo innanzi lo scrigno de’ suoi scritti; e immaginossi di vedere Nerone che entratoli in camera e assiso sul letto prese nelle mani il primo libro che su’ delitti di lui commessi egli avea scritto, e il lesse interamente, e fatto il medesimo del secondo ancora e del terzo, andossene. Fannio ne ebbe terrore; e interpretò il sogno, come se dovesse ei finir di scrivere, ove Nerone avea finito di leggere; e così fu veramente, Io non posso di ciò ricordarmi, senza dolermi che tante fatiche egli abbia inutilmente gittate e tanti studj; e la mia morte ancora e i miei libri mi vengono al pensiero. Tu ancora da un somigliante timore, io credo, sarai compreso per quelli che ora hai tra le mani. Quindi, finchè abbiam vita, sforziamoci a far per modo che. la morte trovi a troncare quanto men sia possibile de’ nostri lavori. •