Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/309

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3^2 LtBllO si potrebbe dire più oltre (Consol. ad Polyb. c. 31, 32, 33). Ma che? Muore Claudio, e questo imperadore sì clemente, sì amabile questo dio riparatore delle comuni sciagure, vien lacerato da Seneca con una delle più sanguinose e pungenti satire che si leggano negli antichi autori (Lud. in morte Claud.). È ella dunque questa l’austera filosofia di Seneca? E un uomo che ci vorrebbe persuadere che ogni sera ei chiedeva conto a se stesso di tutti i suoi fatti e di tutti i suoi detti della giornata < /. 3 de Ira, c. 36), dovea egli lasciarsi trasportare ad adular prima si bassamente, e poscia a mordere si crudelmente lo stesso imperadore? Bella cosa , per vero dire, veder Seneca che con severo ciglio riprende gli adulatori (praef. ad l. 4 Natural. Quaest.), e che scrive a Nerone, che egli ama meglio offendere colla verità, che piacer coll’adulazione (l. 2 De clem., c. 2) , e che poscia, dopo avere adulato Claudio, come abbiamo veduto, si dà a vedere adulatore nulla meno sfrontato dello stesso Nerone: principe come di tutte V altre virtù, così singolarmente della verità amantissimo (l. 6 Natural Quaest. , c. 8); principe che potea vantare un pregio di cui a niun altro imperadore era lecito gloriarsi, cioè l’innocenza, e che faceva dimenticare perfino i tempi d Augusto; principe sopra ogni cosa dotato di un ammirabil clemenza (De Clem. l. 1 , c. 1): ecco gli elogi che il sincero Seneca fa di Nerone , il cui principato , anche dacchè egli si era bruttate le mani nel sangue di tanti Romani e della stessa sua madre, egli chiama