Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/311

Da Wikisource.

2^4 LIBRO pronto a vivere in povertà (ib. c. 25): protesta facile a farsi da chi si vede troppo lontan dal pericolo di doverla condurre ad effetto. Ma questi tesori erano essi giustamente acquistati? Ei ci assicura che nulla vi aveva che fosse altrui (ib. c. 23); e nella parlata che presso Tacito ei fa in difesa sua a Nerone, dice che le innumerabili ricchezze e le ampie ville e i deliziosi orti ch’ei possedeva, tutti erano dono dello stesso Nerone (l. 14 Ann. c. 55). Io non saprei accertare se Seneca dicesse il vero} e non mi sembra, probabile che Nerone fosse cotanto prodigo verso di un uomo da lui temuto anzi che amato. Ma checchesia di ciò, io crederei facilmente a Seneca, allor quando egli si vanti del suo distacco dalle ricchezze e del suo amore sulla povertà, se vedessi che delle sue ricchezze egli avesse fatto uso lodevole e vantaggioso ad altrui. Io veggo, per fare un confronto, in Plinio il Giovane un uomo che sembra non esser ricco che ad altrui giovamento: apre una pubblica biblioteca in Como; assegna in gran parte lo stipendio a un maestro che vi tenga scuola; fa un ricco donativo alla figlia di Quintiliano per agevolarle le nozze; somministra denaro a Marziale per aiutarlo nel suo ritorno in Ispagna; si mostra in somma splendido protettore delle lettere e generoso ristoratore dell’altrui povertà. Nulla di tutto ciò io ritrovo nel ricchissimo Seneca. Gli storici contemporanei non mi raccontano di’ egli impiegasse a sollievo delle pubbliche o delle private sciagure alcuna parte di sì enormi ricchezze; ed egli stesso fa di continuo