Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/313

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XV. Quanto sica prc^e> oli le sue opere inorali. ¿76 IIIìRO lode la costanza con cui la sofferse, altrettanto parmi indegno di un modesto filosofo quel rivolgersi agli amici, e il lasciar loro quasi per testamento la memoria delle sue virtù. Tutte queste riflessioni non mi permettono di entrar nel numero de’ panegiristi di Seneca; e mi fan sospettare, e parmi non senza qualche ragione, che e1 fosse un impostore che sotto il velo di apparenti virtù nascondesse non pochi vizj. Io so bene che non è a stupire che fosse vizioso un uomo idolatra , e che viveva a tempi così corrotti. Ma eli’ ei cercasse di coprir con inganno i suoi vizj medesimi, e che volesse farsi censore de’ difetti altrui, egli che al par d’ogni altro era meritevole di censura , questo è ciò che, a mio parere, non potrassi mai abbastanza scusare. XV. Qualunque fosse però P animo e il costume di Seneca, egli è certo che le opere morali che di lui abbiamo, son piene di savissimi ed utilissimi ammaestramenti, e tali in gran parte, che anche a cristiano scrittore non mal converrebbero, benchè altri ve n’abbia proprj della pagana filosofia, e della stoica singolarmente, a cui Seneca più che alle altre sette era inclinato. Quindi nel parlare dell’ 0pere di questo filosofo hanno oltrepassato di troppo i confini della giusta moderazione e Giusto Lipsio da una parte, che afferma dopo la Sacra Scrittura esser questi i migliori e i più utili libri (Cent. 1, adBelgas, ep. 42), ed alcuni scrittori dal Bruckero allegati (t. 2.p. 560) dall’altra parte, che pongon Seneca nel numero degli atei. Non giova eli’ io mi trattenga a