Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/317

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280 libro ogni passo s’incontrano. Seneca ne va in cerca, e spesso sembra che anteponga il parlar con ingegno al parlar con giustezza. I suoi libri sono anzi una raccolta di sentimenti sulla materia di cui ragiona, che un ben concepito e ben diviso trattato di essa. Or che avviene leggendo questo scrittol e? A me par di vedere un impostor gioielliere che pone in vista le sue merci. Al primo aspetto tutte appaion preziose perchè tutte sono lucenti e belle. Un semplice fanciullo, un uomo rozzo e inesperto se ne invaghisce, ne fa acquisto , e sen va lieto di sì pregevol tesoro. Ma un saggio discernitore conosce che in sì bella apparenza vi ha molto d’inganno5 e rigettate le molte false, a quelle poche gioie solamente si appiglia, ch’ei conosce per vere. Non altrimenti avvenne a’ Romani. Il concettoso e fiorito parlar di Seneca trasse molti in inganno; credettero puro e finissimo oro tutto ciò che vider brillare; vollero rivestirsi essi ancora di somiglianti ornamenti; vollero scriver con ingegno. Ma non tutti avean P ingegno di Seneca; e non potendo giugnere ad imitarne i pregi, solo ne espressero, e in sè ne ritrassero i difetti. Già abbiam veduto che questo era appunto il giudizio che formava di Seneca il savissimo Quintiliano, e che questi usò d’ogni sforzo perchè i Romani non ne fossero ammiratori troppo ciechi , e troppo servili imitatori (l. 10, c. 1). Altri ancora tra gli antichi furono che parlaron di Seneca con disprezzo, forse più ancora che non convenisse, come narra Gellio (l. 12, c. 2); e fin da quando egli vivea, Caligola, uomo nimico di