IX. Era in somma così frequente l’uso delle
private biblioteche, che appena eravi uom facoltoso che non avesse la sua; e il lusso, che
di questi tempi era eccessivo in Roma, davasi
palesemente a vedere in esse ancora, e si gareggiava a chi poteva andare più oltre. Quindi
il severo Seneca, riformator rigoroso degli altrui
vizj più che de’ suoi, contro di questo abuso
ancora fa un’amara invettiva: E a che giovano,
dice (De Tranq. animi c. 9), gl’innumerabili
libri e le biblioteche, il cui padrone appena in
tutta la sua vita ne legge gl’indici? La moltitudine. confonde, e non istruisce chi studia;
ed è assai meglio il restringersi a pochi autori,
che scorrerne molti. Quattrocento mila libri
arsero in Alessandria, monumento illustre di
regia magnificenza. Altri la loderanno, come
fa Livio, il qual dice che fu pregevole opera
della eleganza e della sollecitudine de’ re d Egitto. No non fu ella eleganza nè sollecitudine,
fu piuttosto un letterario lusso; anzi nemmen letterario. Perciocchè non allo studio, ma alla
pompa fu indirizzato; come alla più parte degli uomini che ignorano anche i primi elementi,
i libri non son già ajuto allo studio, ma ornamento delle sale di convito. Abbiansi dunque i libri che bastano; ma non se ne faccia
spe ttacolo. Egli è pur meglio, dirai, l’impiegare in ciò il denaro che in bronzi, o in quadri. Tutto ciò che è soverchio, è ancora vizioso. Perchè vuoi tu perdonare a un uomo
che adorna gli armarj di avorio e di cedro,
che raduna gran copia di autori o sconosciuti
o disprezzati, e che si sta sbagliando fra