Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/426

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è stata l’ultimo termine di perfezione a cui giugnesse l’arte di fondere il metallo; poichè essendovi qui congiunte due cose troppo difficili a ritrovarsi, cioè un imperadore pronto a qualunque spesa, e un artefice di una somma eccellenza, n’era quindi riuscita la più grande opera che fosse mai; e perciò era ad aspettarsi che quest’arte giunta al sommo, ricadesse quindi, come suole avvenire, e tornasse al nulla. In somigliante maniera dice il Vasari che l’eccellenza a cui le arti erano al suo tempo arrivate, era indicio della vicina lor decadenza. Se egli avesse detto in vece che il valore di Michelangiolo e di Rafaello mostravano che l’arte periva, avrebbe parlato più oscuramente, ma avrebbe detto appunto ciò che sembra intendere Plinio colle allegate parole. Che se ad altri sembra che altra spiegazione si possa più felicemente dare alle recate parole, io ben volentieri l’abbraccerò, e godrò in veder finalmente illustrato questo sì oscuro passo di Plinio1.

  1. Io mi compiaccio che questo passo della mia Storia ha eccitati alcuni ingegni italiani ad esaminare più attentamente che non si fosse fatto questo passo di Plinio sulla decadenza dell’arte di fondere. Il primo a comunicarmi su ciò l’ingegnose sue riflessioni fu il P Eustachio Michele d’Afflitto dell’Ordine de’ Predicatori, ora custode della real Biblioteca di Napoli, il quale con sua lettera scritta da Napoli agli 8 d’agosto del 1775 mi fece riflettere che lo scolpire in bronzo e il fondere in bronzo sono due cose distinte; e che Plinio loda sempre Zenodoro per la scultura, e rileva sempre la perdita dell’arte del fondere il bronzo,