Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/490

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SECONDO 453 e contenziosa eloquenza; e inoltre che esercitava i suoi discepoli in una lingua che non avea vezzi nè grazie di sorta alcuna, e sfidavanlo a produr cosa alcuna de’ latini poeti che a’ versi d’Anacreonte si potesse paragonare. Un tal motteggio punse alquanto il valoroso retore; e, sì certo, riprese in tono sdegnoso, era ben conveniente che voi i quali nel lusso e nella mollezza ci avete vinti, in queste tenere cantilene ancora ci superaste. Ma perchè non pensiate che noi Latini siamo in tutto privi di venustà e di eleganza, mi permettete di grazia eli io avvolgami il pallio al capo, come già fece Socrate costretto a tenere un non troppo onesto ragionamento; e apprendete che i nostri più antichi poeti ancora seppero amoreggiando verseggiar dolcemente. E così detto, abbassandosi e coprendosi il capo, con soavissima voce recitò alcuni epigrammi amatorj de’ più antichi poeti latini, mostrando loro per tal maniera che e la lingua latina era aneli essa dolce e vezzosa, e ch’egli, benchè spagnuolo, sapeva nondimeno conoscere ed esprimere recitando la dolcezza de’ sentimenti e delle espressioni. Minuzio Felice fa menzione di una Storia scritta da Antonio Giuliano (in Octav.), in cui trattavasi ancora delle sventure de’ Giudei, ed è probabile che fosse lo stesso di cui parliamo. V. Con lode nulla minore parla lo stesso Gellio di Tito Castrizio retore egli pure, di cui dice (l. 13, c. 20) che fu un uomo di gravità e di autorità non ordinaria, e che a’ suoi tempi nell’insegnare e nel declamare superò tutti. Fu egli maestro dello stesso Gellio; e da Adriano v. Altri aratori e retari in Roma,