Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/522

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SECONDO 485 ciò non ostante non ebbe mai chi gli fosse nimico, ma tutti gareggiavano in amarlo ed in onorarlo (ib. c. 9). Anzi l’imperadore Gallieno e Salonina di lui moglie l’ebbero caro per modo, che avendogli Plotino pregati a voler rifabbricare una città rovinata in Terra di Lavoro, e a permettere a coloro che l’abitassero, tra’ quali sarebbe stato egli stesso coi suoi amici, di vivere colle leggi della Repubblica di Platone, e che alla città medesima desse il nome di Platonopoli, avrebbe egli probabilmente ottenuto ciò che bramava, se i consiglieri di Gallieno non l’avessero impedito (ib. c. 1 2). Ma in cotali gloriosi racconti chi è che non conosca la sfacciata impostura del menzognero Porfirio, che ardendo l’odio implacabile contro de’ Cristiani, usava d’ogni arte per oscurare le glorie del divino loro autore, e degli antichi e de’ moderni filosofi faceva a tal fine uomini maravigliosi, e operatori di strani prodigi che a quelli di Cristo rassomigliassero? Nel che egli giunse a segno tal d’impudenza, che ardì ancor di affermare che mentre Plotino sollevavasi una volta col pensiero, e tutto immerge vasi in Dio, Dio stesso gli apparve non avente forma nè idea alcuna, ma sopra ogni umano intendimento consistente in se stesso (ib. c. 24). Qual conto possiam dunque noi fare di un sì ardito impostore? Sarebbe a bramare che di Plotino e dello stato della filosofia in Roma di questi tempi qualche altro scrittore ci avesse lasciata più sincera contezza; ma invano la cerchiamo altrove fuorchè presso Porfirio, e gli altri che ne adottarono i racconti. Morì Plotino, secondo