Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/545

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5o8 unno male del mondo, come Lodovico Vives che ne forma un carattere troppo spregevole e vile: Homo rhapsodus plane, congestor potius quam digestor, et os tentato r qua/n perìtus; loquacuIns sine e rudi(ione, in verbis ac sententiis putidulus (De tradend. discipl. l. 3). Nel che. a mio parere, e gli uni e gli altri hanno passato di troppo i giusti confini. In Gellio troviam - certamente molte osservazioni frivole e leggere, e che poco importava che ci venissero conservate. Ma egli è certo ancora che moltissime cose appartenenti alla storia, alla cronologia, a’ costumi, alle leggi di tutta l’antichità invano altrove si cercherebbero che presso Gellio. Egli ci ha conservati i nomi e i sentimenti di molti celebri uomini della sua età, e molti frammenti de’ più antichi scrittori, che senza lui sarebbon periti. In- somma l’opera di Gellio si può chiamare un vasto e ben ripieno fondaco in cui tra poche merci di niun prezzo molte ancora ve n’ha di non ordinario valore, che altrove non si potrebbono rinvenire. Ma in ciò eli’ è dello stile, io non so ove trovi il Lipsio quella purissima latinità che tanto egli ammira in Gellio. A me anzi pare di vedervi la corruzion del linguaggio, che allora si faceva sempre maggiore; talchè in mezzo a molte parole e a molte espressioni del buon secolo molte ancora ve n’ha di conio affatto nuovo e, direi quasi, straniero. Di esse volea darci un glossario Gaspare Barthio, e un saggio ne ha pubblicato (Advers. l. 8, c. 16). Ma non so che l’opera intera sia uscita a luce. Un’opera somigliante avea pur disegnata Cristiano Falstero.