Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/611

Da Wikisource.

5^4 LIBRO ragione, perciocché per tal modo egli li constringeva o ad abbandonare la lor religione, o a vivere in una vergognosa ignoranza, e a divenir per tal modo oggetto del comune disprezzo, e ad essere insiem privi di quel sapere che a difender la lor credenza contro la sottigliezza de’ pagani filosofi era necessario. Di questo editto di Giuliano, oltre che più altri autori fanno menzione, egli stesso ci ha lasciato memoria in una sua lettera, in cui insulta a’ Cristiani, perchè usino nelle loro scuole degli autori profani, essi che non credono in quegl1 Iddii che dagli autori medesimi son nominati, e comanda loro che o credano essi ancora ciò che credevan gli autori cui spiegano a’ lor discepoli, o cessino dal più spiegarli, e sen vadano, dic’egli, alla Chiesa de’ Galilei, e vi spieghino Matteo e Luca (ep.42). E così l’avvenne in fatti, dice Paolo Orosio (Hist. l. 7, c. 30), che quasi tutti i maestri cristiani abbandonaron l’impiego, e cessarono dal tenere scuola; e due fra gli altri furon celebri pel generoso sagrificio che fecero della lor cattedra, perchè celebri erano pel lor sapere, cioè Proeresio ch’era sofista in Atene, a cui benchè Giuliano per la stima in che avealo, volesse accordare esenzione dalla universal legge, egli non volle usarne, e spontaneamente lasciò l’impiego (Chron. Euseb. ad an. 366); e Mario Vittorino africano che allora era retore in Roma, e il qual pure, per testimonio di S. Agostino (Confess. l. 8, c. 5), anzichè abbandonare la fede, scelse di rinunziare alla scuola per cui godeva in Roma sì grande onore. Nè solo fece egli divieto a’ Cristiani di tenere scuola, ma,