Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/66

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preliminare 29

poco vedremo. Se se ne tragga Seneca che parve levato più in alto, perchè poi cadesse più rovinosamente, appena veggiamo a que’ tempi un uomo a cui il sapere aprisse la via a grandi onori; e molti al contrario ne ritroviamo, i quali non ostante il lor sapere furono sotto falsi pretesti dannati a morte. Ciò non ostante e oratori e poeti e storici e filosofi vi ebbe a quel tempo in Roma in gran numero, e la decadenza degli studj non fu che per riguardo al gusto e allo stile che cominciò allora a corrompersi Il regno d’Augusto avea per così dire risvegliato l1 entusiasmo de’ Romani: in mezzo a tanti uomini dotti sembrava cosa disonorevole l’essere incolto: si vedevano tanti saliti per mezzo della letteratura a felice e onorevole stato; e ognuno sperava di poter premere le lor vestigia. Il fuoco in somma era acceso, e non poteva estinguersi così facilmente. Molti di quei che visser sotto i primi successori di Augusto, eran nati ne’ più bei tempi della romana letteratura, erano stati allevati da quei grand’uomini che allor fiorivano, imbevuti delle loro idee, e avviatisi sul Sentiero medesimo da essi segnato: in una parola, l’esser uom colto era divenuto, per così dire, alla moda. Ancorchè dunque mancassero quegli stimoli che avevano eccitato ne’ Romani l’amor degli studj, questo amor nondimeno non così presto si estinse; come appunto un corpo che sia stato spinto una volta, prosiegue per alcun tempo a muoversi, benchè la man che lo spinse, più non lo sforzi al moto. Alcuni imperadori che sorsero a quando a quando, amanti