Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/67

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30 dissertazione

xxr. La quale però talvolta •si ili-mlr soJo a «|ualrkr rumo di letti rat uru.

delle lettere e de’ letterati , Vespasiano, Traiano, Antonino, Marco Aurelio, ed altri, concorsero a fare che questa fiamma di tanto in tanto si raccendesse. Ma poscia mancati essi ancora, e succeduti altri imperadori la più parte barbari per nascita, rozzi per educazione, e avvolti ancor quasi sempre in guerre o civili, o straniere, questo fuoco si estinse quasi interamente; nè per lungo tempo potè più ravvivarsi, anche perchè altre ragioni che vi si aggiunsero, e che esamineremo fra poco, non lo permisero. XXI. In tal maniera la munificenza de’ principi fomenta gli studj, e la mancanza di essa li fa decadere. Intorno a che vuolsi ancora riflettere che talvolta questa munificenza si volge a un genere più che ad un altro di studj; e questo allora si vede sopra gli altri essere coltivato. Finchè Roma fu libera, l’eloquenza più che la poesia era onorata; e l’eloquenza prima che la poesia giunse alla sua perfezione. Gli ameni studj più che i serj piacevano a Mecenate e ad Augusto, e quelli più assai che questi furono in fiore a’ lor tempi. Antonino e Marco Aurelio eran filosofi, e Roma fu piena allor di filosofi singolarmente greci. Quasi tutti gli impcradori de’ primi tre secoli furon seguaci dell’astrologia giudicaria, e gli astrologi impostori correvano da ogni parte a Roma. Leon decimo era amantissimo dei professori delle bell’arti e della poesia, e le bell’arti e la poesia furono a quel tempo in fiore. Il gran duca di Toscana Ferdinando II, e il card. Leopoldo de’ Medici erano amantissimi delle osservazioni