Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/724

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QUARTO 68" IV. Oltre i due autori de’ Codici sopraddetti, due altri famosi giureconsulti sembra che a questi tempi vivessero, benchè alcuni gli pongano sotto gl’imperadori idolatri, cioè Aurelio Arcadio Carisio, e Giulio Aquila. Amendue aveano scritte alcune opere appartenenti al diritto, e qualche frammento se ne ritrova ancor nei Digesti (V. Hein. l. c. § 359, 360). Non sappiamo però se essi fossero italiani, o stranieri. E veramente per quanto grande fosse la fama della scuola legale di Roma , sembra che ancor più grande fosse quella di Berito, come da varj passi di antichi autori dimostra l’Eineccio (l. c. § 362, 363). V. Gl’imperadori che venner dopo fino a Teodosio il Giovane, non fecero nella giurisprudenza innovazione di sorta alcuna, trattane la pubblicazione di nuove leggi secondo il bisogno e le circostanze de’ tempi. Anzi, se dobbiam credere a Mamertino panegirista di Giuliano l’Apostata, gli studj legali erano avviliti per modo, che dicevansi proprj sol de’ liberti (Gratiar. actio Jul. n. 20). Possiamo non senza ragion sospettare che Mamertino seguisse qui il costume di altri che per lodare i principi ai quali favellano, abbassano e deprimon le lodi de’ loro predecessori. Certo è nondimeno che non troviamo a questi tempi alcun celebre giureconsulto di cui ci sia rimasta opera o frammento di sorte alcuna. Ausonio fa menzione di un cotal Vittorio (Profess. Burdig. 22) che dopo aver tenuta per qualche tempo scuola di gramatica in Bourdeaux morì in Roma, ove, dice, egli era passato dalla Sicilia; colle quali parole