Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/734

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quarto G.jq l. 16, t. 10, lex 15), con cui vietava che sotto pretesto di atterrare gl’idoli e i tempj non si atterrassero ancora le statue che servivano di ornamento a’ pubblici edifizj. A’ tempi però di Costanzo era ancor Roma un oggetto tanto meraviglioso, che Ammian Marcellino racconta (l. 16, c. 10) che allor quando questo imperadore vi pose per la prima volta il piede, rimase attonito e sopraffatto per modo , che disse che la fama solita comunemente ad accrescere e ad ingrandire gli oggetti era per riguardo a Roma troppo scarsa di lodi. III. E allora fu che in Costanzo si risvegliò il pensiero di gareggiare nella magnificenza cogli antichi imperadori, e di rendere con qualche nuovo ornamento il suo nome immortale. Era in Alessandria d’Egitto, come racconta Ammian Marcellino (l. 17, c. 4), un obelisco colà trasportato per ordine di Costantino Magno che volea abbellirne la sua Costantinopoli; ma essendo ei morto prima di compiere il suo disegno, erasi quivi rimasto quasi in abbandono. Costanzo dunque risolvette di farlo trasportare a Roma, e riuscitovi felicemente, il fece collocare nel Circo Massimo nella maniera che si può vedere ampiamente descritta dal mentovato scrittore. Ed è questo quell’obelisco medesimo che fu poscia da Sisto V di nuovo innalzato. Mi si permetta qui di rilevare un abbaglio dal ch. Muratori commesso nel correggere il preteso abbaglio di un altro scrittore. il Lirulenbrogio, die’egli (Ann. Aliai, ali’anno 357), c^lc suppone trasportato non a