diritto sentiero i travianti Romani. Ma troppo
era già sul pendio il buon gusto, perchè se
ne potesse così facilmente impedir la rovina;
e si credette che fosse invidia e non ragione
quella che inducesse Quintiliano a riprendere
una tale eloquenza, come a suo luogo diremo.
XXVII. Nè diversa fu l’origine dell’altro dicadimento che ebbero a soffrire le belle lettere nello scorso secolo, anzi al fine del secolo xvi. L’Ariosto, il Sannazzaro, il Tasso e
tanti altri poeti del secol d’oro, per così dire, della italiana letteratura, sembravano aver
condotta la poesia alla sua perfezione. Si volle
andar più oltre, ed essendo troppo malagevole
superarli in grazia, in leggiadria, in tutte le
altre doti che tanto più adornano la poesia,
quanto più sembrano naturali e non ricercate,
si ebbe ricorso alle allegorie, alle metafore, ai
concetti. Il Marini, uno de’ primi autori del
gusto corrotto, era uom d’ingegno grande, e
per esso avuto in grande stima; e quindi il
suo esempio infettò gli altri. Le cose nuove
piacciono; e una strada che sia stata di fresco aperta, sembra più bella a battersi che le
antiche. La corruzione della poesia passò all’eloquenza. Gli oratori precedenti sembravano , e forse con qualche ragione, languidi e
snervati; ma invece di render l’eloquenza più
nervosa e più forte, si rendette più capricciosa. Quelli parvero i migliori oratori che usar
sapevano di più strane metafore; e la verità
tanto pareva più bella, quanto più era esposta sotto apparenza di falsità. A ciò concorse
ancora, come osserva un colto e ingegnoso