Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo II, Classici italiani, 1823, II.djvu/97

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se pure non era una delle arti dell’astuto Tiberio a dissimulare i veri suoj sentimenti. Certo pareva ch’egli meglio ragionasse, quando non avea tempo a disporvisi, che quando vi premetteva apparecchio. Ma sopra ogni cosa lo studio della mitologia gli era caro fino a stancare con continue e minute interrogazioni i grammatici per risaperne le più piccole circostanze (id. in Tib. c. 70). Una lirica poesia da lui fatta in morte di Lucio Cesare rammentasi da Svetonio (l. c.), e alcuni poemi greci ancora da lui composti (3). In fatti in questa lingua ancora egli esprimevasi elegantemente e facilmente, benchè in senato per decoro del latino impero se ne astenesse (Svet. c. 71). Nel lungo soggiorno ch’ei fece in Rodi, vivendo Augusto, godeva di frequentare le scuole de’ filosofi, di cui quell’isola era piena, e di trattenersi disputando con loro (id. c. 11). Tutto ciò poteva destare una ragionevole speranza che il regno di Tiberio, come alla repubblica tutta, così alle lettere ancora riuscir dovesse felice e glorioso. II Ma sì liete speranze svaniron presto; e Roma si avvide di avere in Tiberio un principe formato dalla natura all’impero, e da’ suoi vizj condotto alla tirannia, sospettoso e (<7) L’imperadrice Eudosia , altrove da noi citata, ricorda alcuni epigrammi di Tiberio, e un’Arte Retiopica da lui scritta, come sembra, in greco (Viiloison /Inerd. Orare, t. i , p. 270). Di quest’opera di Tiberio niun altro antico scrittore ci ha lasciata menzione.