Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/190

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SECONDO 12(J riflessione diligente sullo stato in cui trovossi l’Italia a questi tempi; non già pe’ diversi dominj che si venner formando, essendo essa allora divisa in più Stati, e soggetta a diversi signori che appellavansi duchi, ma pur dipendevano in qualche modo dal re di tutta la nazione, che risedeva in Pavia; nè pel diritto feudale che probabilmente cominciò allora ad usarsi, come già abbiamo osservato; le quali cose non poterono avere alcuna influenza sulla letteratura; ma bensì per le funeste vicende di guerre, d’incendj, di stragi, a cui f Italia soggiacque, pe’ costumi e per l’inclinazioni de’ re longobardi a cui essa in gran parte ubbidiva. Sembra che il dottissimo Muratori avesse una singolare predilezione per questi Barbari. Egli abbraccia ne’ suoi Annali ogni occasione che gli si offra a mostrare ch’essi non eran poi nè così barbari nè così crudeli, come comunemente si crede; e che quella parte d’Italia che loro ubbidiva, viveva in una dolce tranquillità e sicurezza. Apologista non men valoroso de’ Longobardi è il ch. sig. Denina, il quale dopo aver ingegnosamente esaminato la lor giurisprudenza, per poco non chiama felice l’ignoranza in cui essi vissero, poichè da essa ne venne un sì saggio ed ordinato governo (Rivoluz. d’Ital. t.1,p.Zi \). Io non entrerò in contesa con sì valorosi scrittori, e per me pensi ognuno de’ Longobardi come meglio gli pare. Io esamino lo stato della letteratura di questi tempi, e veggo che in essi appunto ella decadde per modo, che fu quasi interamente abbandonata e negletta, il che da niuno si nega, e noi il vedrem chiaramente Tiiubosciii, Voi. HI. 9