Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/233

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172 LIBRO Domenico, e S. Antonino sono i più antichi monumenti e le più certe pruove che abbiam di un tal fatto; monumenti e pruove del secolo xv, e tutti di forza per vero dire grandissima , de’ quali s’io volessi far uso in qualche quistione storica contro il Bruckero, son certo ch’egli si riderebbe della mia semplicità. E qual vi è mai stato critico di buon senno, che abbia data fede a un racconto di cosa accaduta otto o nove secoli innanzi, narrata da uno scrittore recente che non ne rechi alcun fondamento? E di vero se S. Gregorio non diè alle fiamme le intere biblioteche, come abbiam di sopra mostrato, per qual ragione dovea egli essere cotanto sdegnato contro questi due autori? Tanti osceni e superstiziosi poeti non erano essi più pericolosi di assai che non Livio e Cicerone? Perchè dunque esser così clemente verso di loro, e verso questi due soltanto men rei degli altri mostrarsi così crudele? Ma-checchessia di ciò, ci si rechino autori antichi, e che abbian fama di saggi discernitori in ciò che appartiene alla storia, e allora noi crederemo che Livio e Cicerone abbian trovato in S. Gregorio un capitale nimico. Ma finchè non veggiamo prodursi altre testimonianze di un fatto sì antico, che quelle di autori così moderni, e di altri più moderni che gli han ricopiati, ci terremo alle leggi da tutti i migliori critici stabilite, e riputeremo tai fatti o falsi, o certamente troppo dubbiosi. XI. A questa seconda accusa è simile e coerente la terza, cioè che S. Gregorio odiasse e vietasse il coltivare le belle lettere. Conviaù