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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/235

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  • 7-4 LIBRO

colle arrecate parole in cui sembra parlare con sì grande disprezzo del colto stile? Se il Bruckero avesse lette, o non avesse dissimulate le parole che il santo soggiugne, avrebbe conosciuto per avventura che non dovea poi risentirsi cotanto. Ei dunque aggiugne: Neque enim haec ab ullis interpretibus in Scripturae Sacrae auctoritate servata sunt. Colle quali parole ei vuol farci conoscere che intende di usare di quella rozzezza medesima di cui gli altri interpreti della Scrittura, un Ilario, un Girolamo, un Agostino hanno usato. Or egli è certo che questi, benchè abbiano nello scrivere i difetti del loro tempo, non sono però stati considerati giammai come arditi disprezzatori delle leggi gramaticali. Essi, e così pure S. Gregorio, hanno bensì creduto che nell’esporre la S. Scrittura si dovesse aver più riguardo alla purità del dogma e della morale, che all’eleganza dello stilej ma non hanno mai condotta la scrupolosa loro esattezza a tal segno, che a bella posta, e quasi per una specie d’insulto volesse!- parlare barbaramente. Che se S. Gregorio parla di se medesimo come di uno scrittor barbaro e rozzo, convien ricordarci che gli uomini veramente modesti sentono e parlano di loro stessi assai più bassamente di quel che al lor merito si convenga. In somma S. Gregorio non altro ha voluto dire se non ciò che dice di se medesimo lo stesso Bruckero. Udiamo com’egli ragiona, e vedrem con piacere com’egli imiti modestamente i sentimenti di questo pontefice: Veniam a lectore benevolo exoramus si in iis philosophiae generibus, quae barbaras