Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo III, Classici italiani, 1823, III.djvu/261

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200 LIBRO favella. Il ch. monsig. Gradenigo, da noi altre volte mentovato con lode, ha pubblicato un erudito Ragionamento intorno alla Letteratura grecoitaliana (Brescia, 1759, in 8), in cui egli dimostra che anche ne’ bassi secoli non son mancati all’Italia i coltivatori della lingua greca. Egli però ha ristrette le sue ricerche al secolo xi e a’ seguenti fino al xiv, perciocchè dice che pei secoli che F undecimo precedettero, sì scarse e rare ne abbiam le memorie, che si può dire affatto perduto per quel corso di tempo presso de’ nostri alle greche lettere V amore (p. 18). E certo non può negarsi che pochissimi in questi tempi fossero, singolarmente ne’ paesi de’ Longobardi, coloro che sapesser di greco. Nondimeno ciò che ora abbiam detto, e ciò che dovrem dire ne’ due secoli susseguenti, ci mostra che qualche studio di detta lingua si fece in Italia anche in que’ tempi che ad essa furono i più infelici. III. Sì pochi coltivatori ebbe ancora la poesia , che l’unico di questa età, cui il nome di poeta possa in qualche modo concedersi, è Venanzio Fortunato vescovo di Poitiers. Io non so su qual fondamento l’ab. Longchamps abbia voluto sparger de’ dubbj sulla patria di questo scrittore, dicendo che di ciò non vi sono che oscure notizie, che alcuni il fanno nascere a Poitiers, ma che è probabile ch’ei nascesse in Ceneda (Tabl.hist. ec. t. 3, p. 84, ec.). Non vi è scrittore di cui sia più certa la patria, che di Venanzio Fortunato. Non solo Paolo Diacono chiaramente la segna, dicendo di lui: natus quidem in loco, qui Duplavilis dici tur,